Una storia di Fede, Fuoco, Amore e… Identità La "prima" al "Mandela" di Storia di Focu, di Fidi e d'Amuri
Fuoco, fede e amore.
E’ difficile portare in scena uno spettacolo che racconta la tua storia, che ti coinvolge emotivamente, che riannoda i fili del passato in un continuum storico messo in crisi da eventi naturali e scelte degli uomini.
E’ difficile perché il rischio è quello di farsi travolgere dalle emozioni e diventare spettatori, anziché attori protagonisti.
La “prima” di ieri sera al Mandela del colossale “Storia di focu, di fidi e d’amuri” ha spazzato via dubbi e legittime perplessità: l’epica narrativa di Mimmo Santonocito, la regia di Nadia Trovato, la misurata e realistica partecipazione emotiva degli attori ha trasformato una serata di teatro in un rendez vous con la propria storia, con l’identità come destino, missione, viaggio interiore.
E’ bastato guardare negli occhi pastori, amministratori cittadini, contadini, setaioli, notari o clerici, per poi volgere lo sguardo al pubblico, per capire quanto ognuno fuggisse dalla finzione scenica per rintracciare nel testo e nelle suggestioni visive e sonore un pezzo di se stesso, dei propri genitori, di bisnonni lontani e mai conosciuti, eppure così orgogliosamente radicati nella propria “terra”.
E poi quel fuoco, quella lava che periodicamente cancella l’hybris di un popolo, quel “peccato originale” dell’uomo che cerca di comprendere e superare il mistero di Dio e ne subisce le conseguenze; quel rapporto morboso dei popoli etnei con la potenza distruttiva del vulcano, la stessa che rende fertile la terra dopo la distruzione e solide le fondamenta su cui ricostruire.
Un rapporto armonioso fra costumi, scenografie, luci, musiche e effetti scenici, grazie alla collaborazione fra la produzione e professionisti misterbianchesi desiderosi di mettere un “mattone” per contribuire alla ricostruzione di questo edificio traballante che è la storia di Misterbianco, affidata, fino a oggi, alla strenua resistenza di pochi e appassionati “cantori” e adesso reso argomento “popolare” da Storia di Focu, di Fidi e d’Amuri.
Davvero eravamo “questi” i Misterbianchesi? Davvero il nonno del nonno di mio nonno pensò prima a salvare la “campana”, uno dei simboli della Comunità, piuttosto che mettere al riparo masserizie e frutti del lavoro di una vita? Domande che aleggiavano fra il pubblico, giovane e meno giovane, “confuso” da decenni di sradicamento e difficile convivenza con la modernità.
Quel fuoco, quella fede e quell’amore sono “l’eterno ritorno” di Nietzsche e Giambattista Vico, il monito a non lasciare per strada il proprio passato se si vuole costruire il futuro su basi solide.
La visionaria passione di Massimo Costanza, produttore misterbianchese dello spettacolo, si fonda su questo “irrisolto” che accomuna molti figli di questa terra, nomadi del lavoro, dello studio, della vita, eppure sempre alla ricerca di questo filo conduttore che li fa piangere quando sul palco si evocano i luoghi della memoria, l’aliva ‘mpittata, la Raccomandata, Campanarazzu.
Tutti in piedi, alla fine, dopo la sferzante sequenza fotografica di alcuni protagonisti della storia di Misterbianco, le strade sconfinate del vecchio Paese che non esiste più, i sorrisi di uomini e donne che hanno fatto la piccola grande storia di questa Comunità.
L’irrisolto è lì: siamo solo passato da consegnare ai libri di storia e alle splendide operazioni di memoria letteraria, musicale o teatrale, oppure siamo anche “comunità di destino” capace di ritrovare se stessa per proiettarsi nel futuro?
La risposta non c’è, altrimenti non sarebbe un irrisolto: ma se ce lo domandiamo dobbiamo anche dire grazie a Storia di Focu, di Fidi e d’amuri.
Un grazie sincero e tutt’altro che scontato.
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