Padre Cannone è vivo dentro di noi

Chi scrive cerca di non pensarci da ieri, quasi fingendo che Padre Cannone non sia stato un pezzo importante della propria vita.
E’ impossibile.

Impossibile non pensare a tanti anni nei quali un corpulento e verace prete di provincia ci spiegava il senso della vita, e la sua bellezza, attraverso il gioco, lo sport, il senso di responsabilità, la sperimentazione, il lavoro manuale, il teatro, la musica. Padre Cannone era stonato come una campana, ma non cantammo mai tanto quanto in quegli anni dell’oratorio; Padre Cannone non era uno sportivo praticante, ma l’amore per lo sport, per la pallavolo, per il calcio, per l’attività fisica all’aria aperta le imparammo da lui, pieni di sbucciature e sempre felici, nella vittoria e nella sconfitta.

Lui ti guardava negli occhi e ti osservava, durante il gioco o nella preghiera, perché per ciascuno aveva un “percorso”: alcuni, ne scriviamo con cognizione di causa, diventavano “responsabili” dei bimbi fra i 6 e gli 8 anni già al compimento degli 11 anni, sempre dimostrassero di avere la forza e la testa sulle spalle, alimentando il vincolo comunitario e facendo “crescere” molti di noi nel senso di responsabilità.

Padre Cannone credeva in quei ragazzini e quelle ragazzine, credeva che l’uomo fosse capace di incontrare Dio solo riscoprendosi parte di una comunità, nella quale nessuno è indispensabile, ma tutti possono dare qualcosa all’altro.

E poi la montagna.

I campeggi a Santa Maria di Licodia, le settimane programmate nei minimi particolari, l’immancabile sport, l’ombra di Padre Cannone che compariva nelle camerate per uno schiaffone a qualche indisciplinato che non faceva dormire gli altri.

Oggi, in questa era, forse collezionerebbe denunce per maltrattamenti; allora invece misurava dolcezza e autorità, carezze e schiaffi, per aiutare ciascuno a crescere e vivere meglio la vita di tutti i giorni.

La settimana più attesa dell’anno finiva con l’ascesa, la “scalata”, con quella tensione al divino che è metafora del nostro passaggio terreno e che il silenzio della montagna, interrotto da canti e preghiere, rendeva suggestivo.

Potremmo andare avanti per ore, ma non basterebbero comunque.

Padre Cannone è nella vita di un numero di Misterbianchesi impossibile da quantificare, profondamente, intimamente.
Chi scrive non riesce a immaginare nulla di quello che ha fatto e costruito negli anni successivi senza pensarlo connesso a quegli anni all’oratorio.

Nulla.

Ecco perché è così difficile dirgli addio: significherebbe dire addio a una parte di se stessi; ecco, se ci riuscite fatelo voi.

Padre Cannone è vivo dentro di noi.

Paolo Di Caro
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Paolo Di Caro

Classe 1972, Misterbianchese, giornalista, manager pubblico, Sommelier master class. Da due anni, vista la crisi del teatro, anche attore amatoriale. Ex runner con l'artrosi, appassionato di Dylan Dog e Corto Maltese. Per invidia. Il Bilbo Baggins che era in lui è partito, Frodo non ha più l'Anello e anche Gandalf non è che si senta benissimo. A parte questo, non molla mai.

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