Ospedali siciliani, Codice Rosso Piccole storie di malasanità

Ospedali siciliani, codice rosso

È una storia vera. O forse no.

Di certo è una storia verosimile, verificabile, tutt’altro che auspicabile.

Nel pozzo senza fondo della Sanità siciliana, fra sacche di eccellenza e umanità della classe medica, quello che sicuramente non funziona è il “sistema”: nella nostra storia potrebbe capitare, dunque, che dal ricovero alle dimissioni per un intervento chirurgico non particolarmente complesso, ti si presentino tutte le storture e le piccole e grandi inefficienze possibili comuni a un qualsiasi ospedale siciliano.

Capitolo primo: il paziente? Un fastidio per il sistema.

Nessuno comunica con te, eccezione fatta per un povero medico, già provato da mesi, anni di “sistema”, che passa una volta al giorno e ti racconta il minimo indispensabile.

Da quel momento in poi è tutto un rosario di “non lo so”, “chieda al medico” (quale?), “forse domani”, fino ai più mistici “siamo nelle mani del Signore”, “preghi che ci sia la Sala Operatoria”.

E preghiamo.

Nel frattempo bisogna viverci dentro una corsia e provare a districarsi fra paramedici, ausiliari, pulizieri, lettighieri e via burocratizzando.

Che te ne frega, direte.

Beh, se non sai esattamente chi abbia la lettera scarlatta del puliziere incaricato di rimuovere i resti del pranzo dal tuo tavolino, potrebbe capitare, se fosse una storia vera, che per tre giorni nessuno pulisca e quando, esasperato, tu chieda di farlo al primo che si presenti con uno straccio in mano, potrebbe risponderti: “lo faccio perché lo faccio, ma non toccherebbe a me, ma agli ausiliari dei pasti”.

Gli ausiliari dei pasti.

Fosse una storia vera ti “lancerebbero”, probabilmente, il vassoio sul tavolo più lontano dal tuo letto, anche se avessi difficoltà di deambulazione. E dopo averlo lanciato tornerebbero dopo trenta minuti a ritirarlo, anche se tu avessi deciso di aspettare un orario più umano per cenare: male che vada potrai restituire loro solo il vassoio (hanno fretta, e che cavolo) e tenerti cibo e successivi resti fino all’indomani mattina.

Geniale.

Dopo molte preghiere potrebbe anche capitare vi operino.

E se fosse una storia vera potrebbero finire le lettighe per portarvi in sala operatoria e un simpatico paramedico si presenterebbe sorridente e vi direbbe: “sono finiti i letti, possiamo andare con la sedia a rotelle?”.

E lo chiedi a me, scusa?

Finalmente questa benedetta sala operatoria, direte voi.

Insomma… metti che i lettighieri (figure mitologiche, di provenienza ignota) siano a fine turno e anche un po’ scazzati e si vedessero arrivare sto rompiballe con la sedia, impossibilitato ad andare da solo sotto i ferri, potrebbero chiederti: “ce la fa a scendere e salire da solo sulla barella?”.

Da solo, sulla barella. Scalzo.

Magari lo faresti pure, perché stai pensando all’anestesia, all’odore che sentirai, alle gambe che se ne andranno, al rumore dei ferri sulle tue ossa.

E lo fai. Scalzo (ma non dovrò finire in un ambiente sterile?), con una gamba, tenti l’impossibile, ma tre gradini, tre, ti sembreranno giustamente l’Everest.

A quel punto i lettighieri ti guarderanno come un impedito (ma va?) e si vedranno costretti ad usare l’alzalettiga. Durata dell’operazione: 23 secondi. Fosse una storia vera, a questo punto, prendereste un bel respiro e preghereste, anche da non credenti, come vi invitano a fare dal primo minuto.

Eh, ma chi ve lo ha fatto fare a finire nella pre-sala operatoria alle 17,30? L’ora tarda invoglia a considerarla un po’ come l’ufficio postale, mentre aspetti il tuo turno: un fiorire di rivendicazioni sindacali, lamentele sui turni, fretta che tutto finisca presto. Ovviamente davanti a due, tre poveracci che aspettano che qualcuno metta loro le mani addosso. “Aspetta, non mettere la flebo che forse non lo operiamo, perché è tardi”.

Forse non lo operiamo, perché è tardi?

E sì, fosse una storia vera potreste sentire anche questo.

Poi arriverebbe il deus ex machina, come in tutte le tragedie che si rispettino, nei panni del tuo chirurgo, l’unico lucido nei dintorni nonostante undici ore di sala operatoria.

Contrordine, l’intervento si fa.

Il resto conta poco, ormai avrete capito il senso.

Poco importa se per una decina di minuti dall’inizio dell’intervento nessuno si ricordi di monitorare il battito e la pressione arteriosa, sono cose che possono capitare “anche nei migliori ospedali”.

Certo, la storia è troppo fantasiosa per essere vera.

E per renderla ancora più paradossale potremmo metterci pure che farsi dimettere è più complicato che farsi ricoverare, nonostante un simpatico paziente costi circa 500 euro al giorno.

Lasciamo perdere.

Fosse una storia vera, ci resterebbe la sensazione che, contrariamente a quanto spesso si pensi, la cosa che funziona meglio in questo girone dantesco della Sanità siciliana siano proprio i medici.

Alcuni bravi, altri bravissimi, altri meno bravi, ma pur sempre professionali.

Quello che non funziona è il sistema-Sanità, che poi fagocita anche i medici e ne mortifica competenze e umanità, costringendoli spesso a diventare cinici e impersonali, per esigenza di pura sopravvivenza.

Per fortuna non è una storia vera.

O forse sì.

Paolo Di Caro
Seguimi

Condividi:

Paolo Di Caro

Classe 1972, Misterbianchese, giornalista, manager pubblico, Sommelier master class. Da due anni, vista la crisi del teatro, anche attore amatoriale. Ex runner con l'artrosi, appassionato di Dylan Dog e Corto Maltese. Per invidia. Il Bilbo Baggins che era in lui è partito, Frodo non ha più l'Anello e anche Gandalf non è che si senta benissimo. A parte questo, non molla mai.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Realizzato e gestito da You-Com.it

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi