Nino Di Guardo e la “teoria del complotto”. La conferenza stampa del dopo-scioglimento

Nervoso, accaldato, furente: Nino Di Guardo attacca tutti dalla Sala Giunta del Comune, per l’ultima volta con la coreografia del gonfalone ufficiale alle sue spalle.
È un Sindaco decaduto, a tratti decadente, quello che si presenta ai giornalisti lancia in resta.

Attacca il solito disco del Comune virtuoso, del “qui funziona tutto”, “la mafia non l’ho mai vista in questi corridoi”, con quella capacità di banalizzare il male costruita in anni di gestione semi-totalitaria del potere.
Un uomo solo al comando che zittisce a più riprese la povera “Assessora” Vecchio, chiamata in causa anche nella qualità di avvocato, perché leggermente disconnessa dal copione deciso dall’ex Sindaco.

E poi due sventolate degli immortali capolavori editoriali che sanciscono, in automatico, la sua vita sacrificata alla lotta alla mafia, così, tanto per gradire.
È un fatto di storytelling, e Nino allo storytelling ci tiene.

Il copione si mantiene costantemente a metà fra la sceneggiata napoletana e la tragedia greca, con punte di lirismo esasperato e una paradossale comicità più vicina ad Aristofane che ad Eschilo o Euripide.

È un complotto, questo è chiaro.
Come un social-grillino qualsiasi Nino allude, evoca demoni antropomorfi, tira in ballo ogni possibile nemico della sua rivoluzione permanente, per dimostrare la tesi del disegno preordinato.

Se la prende con tutti, ma sceglie il nemico vero aiutandosi con il cognome: Sammartino.

Sì, ma quale dei due?
Il politico consumato di area piddino-renziana decisivo per la sua ultima elezione a Sindaco, il nume tutelare dell’ex vice Sindaco Carmelo Santapaola, oppure il Prefetto, deus ex machina del procedimento di scioglimento, poi definito e ratificato nelle stanze del Ministero degli Interni?

Nel dubbio, fra un pugno sul tavolo e un urletto a favore di telecamera, li imbarca entrambi nel complotto internazionale, giocandosi esplicitamente la “carta” della parentela e chiudendo lo spettacolino con il “colpo da teatro”. La discarica.

Come abbiamo fatto a non pensarci?
“Non ho le prove (e figurarsi), ma la chiave potrebbe essere qui”.
Boh, ma non erano i leghisti che ce l’avevano con lui per ragioni politiche?
Acqua passata.
Insomma, nella farneticante narrazione dell’ex Primo Cittadino, sua Eccellenza il Prefetto lavorerebbe per i signori della discarica, per interposta parentela, e si giocherebbe la brillante e onorata carriera al solo scopo di schiodare dalla sedia il Sindaco anti-discarica (a parole), per fare un favore al nipote e, supponiamo, alla di lui compagna.

Accusa Sammartino, il Prefetto, di “slealtà”, perché non avrebbe fatto il proprio dovere e gli avrebbe dedicato solo un laconico, pericolosissimo e renziano “stia sereno”, rispondendo alle sue sollecitazioni sullo stato dell’ispezione.

Chiaro, no?
Mesi di indagini e di audizioni, montagne di carta sequestrata, Commissari e Guardia di Finanza costantemente al Comune, in realtà sarebbero, a sentire Di Guardo, solo un paravento per coprire inconfessabili interessi economici milionari.
Geniale.

A questo punto sorge il dubbio che anche le inchieste sul Gruppo di Lineri, gli arresti, le connessioni con Cosa Nostra e Matteo Messina Denaro, in realtà facciano parte del complotto.
Nino minimizza, quasi irride la magistratura, a suo dire “incapace” di vedere le imprese di Placenti e compari fino all’operazione Revolution Bet, arriva a rafforzare la sua difesa di Carmelo Santapaola, definendolo a più riprese “un bravo ragazzo”, uno che “comunque non è che contasse molto”.
Le intercettazioni dicono il contrario, parlando di sostegno “decisivo” del Gruppo per l’elezione del Di Guardo, della voglia di fare sul serio, di condizionare scelte e decisioni importanti.
Quisquilie.

E chi lo sapeva che il Placenti della squadra di calcio fosse un mafioso quando presentava al Comune la squadra, fianco a fianco con un paio di ingenui amministratori sorridenti?

Qualche collega prova a sollevare dubbi, vista l’ineauivocabile formula scelta dal Ministero, che parla di “accertati condizionamenti delle locali organizzazioni criminali”.

Niente da fare.

Una smorfia di fastidio, un coretto del pubblico non pagante degli assessori di fiducia e i dubbi della stampa diventano una fastidiosa emissione di fiato.

La teoria del complotto contro Nino Di Guardo è in quel volantino che somiglia alle rivendicazioni dei brigatisti negli anni ‘70 e ‘80: “Crimine di Stato”.

Addirittura.

Lo scioglimento del Comune di Misterbianco come le stragi, coi servizi segreti a tramare e depistare, i funzionari dello Stato tutti infedeli e lui, novello Toni Negri, nel mirino del potere per le sue tesi rivoluzionarie.

Si spengono i microfoni e, in lontananza, sembra di sentire le sirene dell’ambulanza.

È un attimo, poi tutto torna normale.

Le ultime foto dell’ottuagenario inquilino del Palazzo, le interviste, l’arrivederci al comizio, il solito, anzi no: stavolta dal palco parlerà l’ex Sindaco, decaduto e decadente, che proverà a raccontare un’altra storia.

Peccato che la storia sia scritta, insieme alla parola “Fine”, nel decreto di scioglimento.

Cronache dal surreale.

Titoli di coda.

Paolo Di Caro
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Paolo Di Caro

Classe 1972, Misterbianchese, giornalista, manager pubblico, Sommelier master class. Da due anni, vista la crisi del teatro, anche attore amatoriale. Ex runner con l'artrosi, appassionato di Dylan Dog e Corto Maltese. Per invidia. Il Bilbo Baggins che era in lui è partito, Frodo non ha più l'Anello e anche Gandalf non è che si senta benissimo. A parte questo, non molla mai.

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