Politica e letteratura: il declino dell’uomo-sindaco come il crepuscolo dell’uomo-roba Alla ricerca di analogie tra le vite del 'vinto' personaggio verghiano e l'ex primo cittadino
Se Giovanni Verga tornasse in vita rivedrebbe in Nino Di Guardo il suo Mastro don Gesualdo? Scorgerebbe analogie tra la parabola del già primo cittadino misterbianchese e il crepuscolo del suo personaggio?
A giudicare dall’ultima uscita dell’ex sindaco sul Carnevale, sembrerebbe di sì. Nell’attacco alla decisione dei commissari, nell’invito ai gruppi storici di non partecipare e, alla fine, di segnare il fallimento della manifestazione, riecheggia ciò che scrive il Verga sulle ultime ore di Gesualdo Motta, ormai consapevole che tutto era perduto: “Voleva che la sua roba se ne andasse con lui, disperata come lui”.
La roba come il Comune? È qui che lo scrittore siciliano scorgerebbe la fondamentale analogia tra le due figure. E un carattere comune: la bramosia del possesso. L’uno per la roba, l’altro per il potere. Il personaggio verghiano è ossessionato dall’accumulare terra, e poi terra, e ancora terra. Di Guardo dall’accumulare sindacature: una, due, tre… anche cinque!
Da un lato, l’uomo-roba, dall’altro l’uomo-sindaco. Tutt’e due attaccati forsennatamente, morbosamente quasi, a quanto conquistato. Con fatica e con sacrificio. Ma pure con astuzia e scaltrezza. Sfidando regole e procedure.
Cosicché il Comune è vissuto dall’uomo-sindaco come una roba verghiana, con l’arbitrio dell’uomo-roba che tutto possiede. Fino al punto di identificarsi con essa. Di ritenersi un’unica cosa. Persino di collettivizzare la sua personale lotta politica.
Somigliano, d’altra parte, i percorsi di vita: l’inarrestabile scalata economico-sociale, da muratore-mastro a ricco-don (ma nobile mai accettato) per il Motta; la strada in salita, dall’affrancamento dal lavoro della terra alle stanze della politica, per l’ex sindaco.
Entrambi figure drammatiche, eroiche a modo loro, ma fondamentalmente egoiste. Con un’unica idea fissa: per l’uno la vita è un affare, anche se per migliorare il proprio status sociale; per l’altro, la vita è fare il capo di una giunta municipale, anche attraverso azzardati equilibrismi politici. Niente e nessuno può fermarli nel loro attivismo testardo, nel loro sconfinato desiderio di terra o di potere.
E così, mentre nel romanzo verghiano, l’uomo-roba sposa una nobile decaduta, pur di essere accettato dalla buona società, una moglie che lo disprezza e lo tratta in maniera distaccata. Nella cronaca misterbianchese, pur di vincere la competizione elettorale e di rientrare in possesso di ciò che considera la ‘sua’ roba, l’uomo-sindaco sposa alleanze politiche rivelatisi infauste. Tanto da arrivare a essere oggetto delle indagini della procura di Catania e fra le cause dello scioglimento del Comune: la rovina della roba.
Ma se l’uomo-roba è un ‘vinto’, l’uomo-sindaco non si dà per vinto. E contro ogni evidenza, contro ogni rilievo, egli non recede, non fa un passo indietro. Anzi, rilancia. Anche contro il buon senso. Anche facendo terra bruciata attorno a sé. Anche contro chi, in forza della legge e del diritto, si frappone tra lui e il ‘suo’ Comune. Tutto per affermare il potere, per governare la roba.
Ma la gestione della cosa pubblica non è un romanzo ottocentesco. E la roba non è una distesa sconfinata di terra seppur generosa, ma un ente pubblico, soggetto al diritto non al capriccio. Dove non è possibile comportarsi con un mastro-don-gesualdo qualsiasi o un massaro di latifondo.
Perché anche se “Il potere è sapere che puoi fare tutto quello che vuoi e nessuno ti fermerà mai” (tag-line dal film ‘Motherless Brooklyn’, di Edward Norton), qualcuno prima o poi arriva.
Ed è così che arriva anche il crepuscolo. Anche per gli eroi, o per chi si considera tale. Vale per l’uomo-roba, vale per l’uomo-sindaco. Entrambi stritolati dalla loro stessa smania. Quando per l’uomo-roba arriva la disperata consapevolezza che tutto è perduto, non gli resta che mettersi “a bastonare anatre e tacchini, a strappare gemme e sementi”, per “distruggere d’un colpo tutto quel ben di Dio che aveva accumulato a poco a poco”.
E per l’uomo-sindaco? Forse Verga coglierebbe analoga consapevolezza? O la disperata volontà di distruzione?
La roba, come il Comune.
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