In memoria del Diguardismo Vince Corsaro, finisce l’era di Nino Di Guardo
È la fine del mondo.
O almeno la fine del piccolo mondo costruito intorno alle cinque esperienze da Sindaco di Nino Di Guardo, ai suoi riti, alle sue battute astiose nei confronti degli avversari, degli ex amici, di qualunque cosa si frapponesse fra Lui e il potere.
Nino esce sconfitto da questa campagna elettorale, l’ennesima, nella quale ha espresso tutto il proprio disprezzo per chi non comprendesse quanto Misterbianco avesse bisogno di lui.
Parolacce, insulti, aria di sufficienza e massime in siciliano per schernire gli avversari interni della sinistra, rappresentati da Massimo La Piana e Attiva Misterbianco, colpevoli di lesa Maestà; colpi di clava a destra e al centro, poi, con quel “vizietto” antico e un po’ squalliduccio di riesumare i morti, quelli che non possono difendersi, come Lino Leanza e, prima ancora, Paolo Arena.
E poi la ciliegina del comizio nelle Frazioni, dove difende a spada tratta il proprio ex vice Sindaco, Carmelo Santapaola, cugino dei Placenti del “Gruppo di Lineri” e finito nell’inchiesta Revolution Bet, oltre che nei verbali che hanno poi determinato lo scioglimento del Comune etneo.
Di Guardo lo definisce “bravu carusu”, con toni accorati, anticipando a mezzo comizio le risultanze di un processo che si dovrà ancora celebrare; ma lui è così da sempre, impone le mani su quelli che gli consentono di salire i gradini di via Sant’Antonio Abate e li trasforma in angeli del bene, da qualunque inferno provengano.
Come nel caso delle alleanze del 2017, come per la corrispondenza di amorosi sensi (fra vivi) con il mondo che gravita intorno a Raffaele Lombardo, come in tutte le vicende nelle quali quelli che ha insultato da avversari nelle urne diventavano adamantini se pronti a sostenerlo e a riportarlo su quella sedia, l’unica alla quale abbia mai ambito.
Stavolta, però, la scoppola è arrivata, secca, inaspettata nelle proporzioni, precisa nel decretare la fine politica della stagione del diguardismo.
E glielo hanno spiegato, con grande eleganza e faccia tosta da vendere, proprio i suoi “compagni” del PD locale, che dall’alto del loro clamoroso 4% e spiccioli, che li tiene fuori dal Consiglio Comunale, hanno scritto un post che si può interpretare più o meno così: “Grazie, Nino, ti abbiamo glorificato, sei un simpatico vecchietto, ma ora fatti da parte perché vorremmo diventare adulti”. Alla buonora.
Una fine ingloriosa, ma cercata, con la presunzione che ne ha segnato la carriera politica e che viene riassunta anche questa nel post di commiato post-elettorale: “Ho servito (io) per 20 anni Misterbianco, ma questa volta abbiamo (noi) perso”.
Capito?
Le vittorie hanno un solo padre, le sconfitte sono di tutti.
E adesso, Marco.
Al secondo tentativo si sbarazza in un sol colpo del Califfo, al quale ha dedicato pochissime parole in campagna elettorale, forse tastando meglio di altri il polso dell’elettorato, e del candidato “di disturbo” Sammartiniano; quell’Ernesto Calogero che dopo il primo comizio condito di gaffes ha provato ad arroccarsi sulle Liste e sui portatori di voti, senza mai mostrare una particolare sintonia con il paese e con le sue liturgie.
E infatti ha perso, pur con la soddisfazione effimera di battere al fotofinish Di Guardo per una seconda posizione diventata inutile dopo il superamento della soglia del 40% da parte del candidato del Centrodestra.
E si sbarazza, più facilmente, dell’alleanza Attiva-5Stelle, tenuta in piedi più dalla personalità di Massimo La Piana che da una reale voglia di stare insieme, in un matrimonio che porta in dote un solo seggio, per Attiva, e uno sconfortante 3,41% per i Grillini.
Una sinistra che dalla sconfitta di Di Guardo, paradossalmente, potrebbe trarre il beneficio di essersi liberata in un colpo solo di un uomo e un politico ingombrante e poco incline al dialogo e di un “blocco” generazionale che ne ha impedito ogni progettualità.
E adesso, Marco, con la responsabilità di aprire la stagione del “post” e dimostrare che un trentenne non ha solo il vantaggio anagrafico rispetto a un ottuagenario, ma anche visione, tensione ideale e coraggio.
Quello che ci vuole per segnare una discontinuità rispetto alla paludosa gestione della cosa pubblica che la relazione prefettizia, ben al di là delle responsabilità accertate, ha disegnato con sconfortante precisione.
E adesso, Marco.
Con il compito per nulla facile di restituire una identità a un paese che l’aveva, ma l’ha smarrita, tenendo nella debita considerazione le differenti anime e i diversi contesti territoriali di una comunità frastagliata, ma con la consapevolezza che senza radici e senza storia non si vada lontano e non si possa parlare di futuro.
Dovrà governare coi partiti, soprattutto Forza Italia e Fratelli d’Italia, ma dovrà farlo prima ancora con i Misterbianchesi, provando a far riscoprire loro una visione partecipativa della politica e della gestione della res pubblica, mortificata proprio da anni di Califfato diguardiano, intriso di decisionismo e individualismo.
Il senso di comunità.
Riscoprirlo sarebbe il successo più grande per un giovane Sindaco, fra problemi giganteschi legati alla questione rifiuti, alla mobilità, al controllo del territorio, alla pianificazione urbanistica, al riordino della zona commerciale.
Perché per trovare la strada occorre non perdere mai il filo.
In bocca al lupo, Sindaco.
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