Antico Misterbianco, un “casale” di origine musulmana? Le considerazioni del professore Antonino Condorelli sull'habitat urbano dell'antico casale

Riceviamo e pubblichiamo una nota del professore Antonino Condorelli sull’habitat urbano che caratterizzava l’antico casale di Misterbianco 

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Nel sito dell‘oppidum vel del casale di Mons Albus non è possibile stabilire la continuità o la discontinuità tra gli stabilimenti umani dall‘epoca romana-bizantina a quelli dell’epoca musulmana e/o normanna.

È noto, tuttavia, che la conquista musulmana è portatrice di elementi di novità che indicano un notevole cambiamento nei confronti dell’epoca bizantina: “si tratta della gestione e dell’organizzazione del territorio agricolo; anche se i suoi effetti furono cancellati abbastanza rapidamente a partire dallo stabilimento del potere normanno” che, invece, conserverà il sistema fiscale islamico e il sistema delle “giaride” per la loro efficienza.

Per comprendere le condizioni dei contadini, tanto greci che musulmani, bisogna fare riferimento alle cosiddette “giaride”: liste di contribuenti che servivano come registri delle tasse. La maggior parte dei contadini degli elenchi era, in primo luogo, proprietaria dei terreni per i quali doveva corrispondere le tasse, talvolta anche collettivamente.

“Il contributo della ricerca archeologica sul mondo rurale islamico evidenzia con un certo grado di sicurezza che in buona parte della Sicilia del X e Xl secolo una percentuale molto elevata della popolazione vivesse in insediamenti che sembrerebbero caratterizzarsi come centri agglomerati sostanzialmente debolmente o per nulla fortificati. Si trattava “di siti aperti”, anche se non sempre, su insediamenti risalenti all’età tardo romana e bizantina

La tipologia delle abitazioni rurali che comincia ad emergere con chiarezza, oltre all’habitat trogloditico (grotte e/o capanne di legno e pagliai) è quella delle case pluricellulari con pianta a U o a L, spesso associata ad una distribuzione spaziale irregolare con una viabilità tortuosa“.

Tale tipo di planimetria a “U” o a “L” sembrerebbe particolarmente diffusa nel periodo islamico, dove viene associata ad una struttura familiare allargata: il “clan”.

Le case erano normalmente costruite in pietra appena sbozzata o mattoni non cotti, legati con malta di terra cruda e argilla ed erano sempre coperte da tetti di coppi non di reimpiego. “Questa caratteristica (case di buon tenore di tipo pluricellulare e con organizzazione topografica irregolare ed a vicoli ciechi) ricorrenti degli abitati rurali dell’età islamica sembrerebbe legata a un‘assenza di potere (privato e pubblico) con la viabilità tortuosa che segnalerebbe la prevalenza dello spazio privato su quello pubblico”.

Ciò sembrerebbe indicare, per la Sicilia in età islamica, l’esistenza di una stato “leggero” ma efficiente, con comunità contadine benestanti, piuttosto autonome e debolmente o per nulla gerarchizzate.

Altre “considerazioni e ipotesi sui lasciti dell’età musulmana sulla struttura delle città siciliane sono basate, al di là delle testimonianze e delle fonti scritte, sulla constatazione che i tessuti urbani stessi costituiscono una base fondamentale di conoscenza; infatti del modello della città di Palermo. terminate le distruzioni normanne, scomparsi i grandi edifici religiosi dell’età musulmana, sovrapposti nuovi tracciati di percorso sui tessuti urbani preesistenti (all’interno di un processo generale che vede il passaggio da un’articolazione secondo uno schema arborescente ad un altro a scacchiera e ad assi ortogonali) ciò che rimane è “il mestiere e la pratica della costruzione e dell’organizzazione degli spazi“.

“Non si tratterebbe dunque di qualcosa che è ereditato nella dimensione fisica (non rimane pressoché niente sia dell‘habitat urbano sia dell’habitat rurale della Sicilia musulmana), ma un “modo di fare”. di organizzare l’ambiente costruito che avrebbe la sua origine all’epoca islamica”.

Questo modo di strutturare gli spazi da quel lontano periodo preesiste ancora oggi in diverse città della Sicilia: si tratta dei cortili, cioè di quelle sezioni terminali delle reti di percorso”. Questo “modo di fare” o questo “modo di strutturare gli spazi” è rappresentato dalle mappe allegate al testo: “Ritratto documentale di una città invisibile: Misterbianco”.

Il ritratto documentato di Misterbianco, realizzato attraverso l‘elaborazione delle informazioni dei “riveli” (i riveli di beni ed anime sono documenti d’archivio siciliani che riportano dichiarazioni dei capofamiglia sui beni e i componenti della famiglia, datati tra il XVI e il XIX secolo, da Wikipedia, ndr) ha consentito di far cogliere la struttura topografica del casale di Misterbianco e del suo territorio abitato.

Il professore Paolo Militello, infatti, nella sua pubblicazione “Misterbianco nel 600: vendita e rifondazione di un paese siciliano”, afferma, attraverso una citazione che appartiene a Maurice Aymard, che i riveli “vivono della vita della società che essi hanno registrato”.

Aggiungerei che i “riveli” consentono attraverso l‘uso di strumenti moderni di ricostruire la topogrfia di un casale e di evidenziare il suo habitat urbano che, nel caso specifico di Misterbianco, ricorda il tessuto urbano dei centri rurali musulmani scomparsi.

Siamo proprio nel 1600 e, sorvolando sugli stermini e le deportazioni che hanno interessato e lacerato il tessuto sociale del casale di Misterbianco, ritroviamo, nella sua rappresentazione-ricostruzione come città invisibile, le sue chiese dislocate in un paesaggio a struttura arborescente e circondate da case pluricellulari con piante a U o a L, associate ad una distribuzione spaziale irregolare, ad una viabilità tortuosa, ai vicoli ciechi, alle rughe e, in particolare, ad una struttura familiare a clan.

Questa si coglie in modo eclatante nei ritratti realizzati con tre diverse tecniche da alcuni autori (Carmela Zuccarello, Denise Sidoti) del testo: “Ritratti documentati di una città invisibile, un nuovo viaggio all’antico Casale di Misterbianco”, a cura di José Calabro.

Queste considerazioni, fondate sulle fonti scritte e sui ritratti elaborati attraverso i riveli, mi spingono a ricercare sulla continuità o discontinuità delle etnie che hanno vissuto in questa contrada dei monti albi, durante l’alternarsi delle dominazioni che si sono succedute nel corso dei secoli in Sicilia

Mi sembra opportuno, accanto ai ritratti di luoghi invisibili che “permettono di materializzare, anche attraverso il filtro dell’arte e dell’immagine”, le informazioni dei documenti parrocchiali, dei riveli o di altra natura, fare ricorso sia alla ricerca archeologica nei luoghi “preziosi” del boschetto di Campanarazzu e sia alla ricerca toponomastica, per contribuire ad arricchire le notizie che riguardano le origini e la storia di Misterbianco.

Antonino Condorelli

Fonti utilizzate:

httpsz/lcaiscuola.cai.it/wp-conten’r/uploads/ZOZ1/04/molinari.pdf

http://www.storiamediterranea.it/public/mdl_dir/r7654pdf

Ritratti documentati di una città invisibile a cura di Josè Calabrò

La Sicilia Musulmana di Alessandro Vanoli

Città e campagne nella Sicilia medievale di Vincenzo D‘Alessandro

Il mio paese di Antonio Belfiore

(Nella foto: la copertina  della ristampa anastatica del libro “Viaggio agli avanzi rimasti dell’antica Comune di Misterbianco”, edito nel 1867 dalla Stamperia Bellini, del sacerdote Antonino Bruno Licciardello) 

 

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La Redazione di Misterbianco 3.0

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